Dongo, la storia

La storia di Dongo, dai romani al Pirata Medeghino, fino alla Cattura di Benito Mussolini

L'importanza economica della zona era ben nota anche in antichità ed era principalmente dovuta alla strada che conduce al passo S. Jorio che mette in comunicazione il lago di Como con la valle di Bellinzona in territorio Svizzero, e da qui con la Germania. L’importanza di questo valico non può essere sfuggita ai Romani, soprattutto quando i barbari, giungendo da Bellinzona e dai Grigioni, premevano per invadere la Lombardia. A questi popoli nordici si offrivano tre possibili vie per scendere in Italia ma più diretta era attraverso il passo di S. Jorio e il lago di Como.

Nelle carte geografiche più antiche, il passo di S. Jorio si trova segnato indicato come Jori o Giori. È verosimile che il passo derivasse il toponimo da Jovis, Jovius, cosa fortemente probabile sia per la diffusione del culto di Giove nel Comasco e nel Ticinese, sia per l’usanza religiosa dei romani, durata fino agli inizi del V sec., di porre statue, tempietti ed are votive pro itu et reditu nei punti salienti delle strade.
L’intitolazione a San Jorio dovrebbe essere avvenuta con l'avvento del Cristianesimo, a chi transitava da quel valico non deve essere stato difficile elevare il pensiero non più a Giove, ma a S. Giorio o Jorio, tanto che su quel passo prealpino fu eretta una cappella dedicata a questo nuovo Santo che, seppure modificata nel tempo, esiste ancora oggi. 

Per sostenere la romanità di questo passo prealpino, alcuni vorrebbero che il nome di Stazzona, grosso comune posto lungo la strada nel punto in cui incomincia a addentrarsi nella valle, derivasse da una statio romana, vale a dire un posto di guardia situato in un punto strategico, edificato per contrastare un'eventuale invasione dei Leponzi attraverso il passo, proprio come l’altra Stazzona in Valtellina sarebbe stata costruita per contrastare una possibile invasione dei Reti.

Al passo di S. Jorio si giunge tanto dalla valle di Gravedona, passando per Brenzio, quanto da quella di Dongo, passando per Stazzona e Garzeno. Le due valli sono separate solamente dal costone tondeggiante del Monte Cortafo che poco prima di raggiungere il passo si abbassa, formando un’ampia e comoda sella dove le  strade si uniscono per continuare insieme le ultime centinaia di metri.
Quest’ampia sella è detta  Giovio ed è possibile riconoscere in questo nome lo iugum delle strade romane.

Le miniere di ferro della valle furono sfruttate a partire dal XV fino al XIX secolo, quando la produzione di ghisa fu sospesa perché non più remunerativa a causa della difficoltà di trasporto dei materiali trasformati. Queste miniere furono oggetto di grandi battaglie per il loro possesso, specialmente durante le guerre tra Francesi e Spagnoli per la successione al Ducato di Milano.
Nel 1508, le miniere di ferro di Dongo furono cedute dai proprietari al Maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, della fazione Francese, che ne vietò l’accesso ad Antonio il Matto, che era a capo della fazione anti-francese. Era questi una figura piuttosto singolare; un pirata masnadiere brutale e rapace nativo di Brenzio, nella Pieve di Dongo, dove era conosciuto come Antonio il Matto, appellativo che fu poi esteso anche ai suoi figli che ne continuarono le gesta.

Lo storico Rebuschini narra che nel 1517 fu introdotta nel castello di Musso "…con grande dispendio, una fonte di acqua perenne e costruita una fontana con le opportune officine, onde cuocere il ferro delle vicine miniere e ridurle agli usi di guerra…".  

Dopo il Matto e i suoi figli, a Dominare le Tre Pievi si erse un’altra figura di feroce corsaro, pecora nera di una famiglia di Santi: Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, fratello di un Papa e cugino di San Carlo Borromeo.

Il 27 Aprile 1945, sulla strada tra Musso e Dongo, una divisione partigiana catturò Benito Mussolini e Claretta Petacci mentre tentavano la fuga verso la Svizzera in compagnia di alcuni suoi ministri. Questi ultimi furono condotti a Palazzo Manzi, sede del Comune e poi furono giustiziati, mentre Mussolini e la Petacci furono portati a Mezzegra dove trascorsero la loro ultima notte in Casa De Maria, per poi essere fucilati la mattina del 28 Aprile.

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Il Municipio ospita un museo, il Museo della fine della Guerra, che documenta questi avvenimenti.